
Aveva “le spalle al muro” per la crisi e così un imprenditore tessile non ha versato ritenute per oltre 730 mila euro. Ma lo scorso dicembre – anche se le motivazioni sono state rese note ieri – il giudice di pace di Milano lo ha assolto dall’accusa di evasione fiscale (mentre il pm aveva chiesto 4 mesi di reclusione) perché il reato «è stato commesso in circostanze anormali ed eccezionali, tali da rendere umanamente inesigibile la condotta». Il giudice Ilio Mannucci Pacini ha ricordato l’orientamento giurisprudenziale «che riconosce alla crisi di liquidità un valore riconducibile all’assenza di dolo», ma è andato oltre sottolineando la «assenza di colpevolezza dell’imputato, intesa come inesigibilità» del versamento delle imposte.
Risorse destinate a buoni scopi
La scelta di non pagare, infatti, fu conseguenza della decisione dell’imprenditore di «destinare tutte le proprie risorse economiche» ad altre esigenze, tra cui l’adeguamento del depuratore sollecitato dalla Regione (per impedire la chiusura dell’azienda) e il pagamento degli stipendi dei suoi 155 lavoratori «senza fare ricorso a misure assistenziali a carico dello Stato». Dopo aver destinato «a tali apprezzabili scopi» oltre 6,5 milioni di euro, l’imprenditore «si trovò impossibilitato ad adempiere al versamento delle ritenute certificate relative all’anno d’imposta 2010».
Miliardi di crediti in sofferenza
Un precedente giuridico importante, considerato che ad oggi Equitalia vanta in tutta Italia ben 682 miliardi di crediti e di questi il 90% sono considerati “in sofferenza”, ovvero di incasso incerto per le condizioni di difficoltà dell’indebitato.
Fonte: metronews.it
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